Avete mai assaggiato il famoso caciocavallo impiccato? Il Re delle sagre del Mezzogiorno d’Italia è una di quelle specialità italiane da provare almeno una volta nella vita. Quell’irresistibile e gustoso formaggio a pasta filante sciolto su una brace ardente e mangiato su una fetta di pane cafone dovrebbe essere eletto a patrimonio dell’umanità. Non c’è niente che rappresenta meglio l’emblema del pornfood italiano più di questo cibo da sagra. La cosa che più entusiasma è lo spettacolo da vivo che vive il mangiatore seriale quando vede il caciocavallo come un attore in scena sulla brace. Ma qual è la storia di questo emblema del pornfood? Scopriamola insieme.
Perché si chiama così?
Per chi non lo sapesse, il caciocavallo è un formaggio a forma di pera stagionato e a pasta filata. Tipico del Meridione d’Italia, si pensa che risalga al 500 a.C. Sembra che il nome derivi da un particolare tipo di marchio da cavallo che si era soliti mettere nel Regno delle Due Sicilie per distinguere gli esemplari.
Viene realizzato con il latte di mucche allevate allo stato brado. Vengono stagionati appesi “a cavallo”.
Differenza tra quello impiccato e la variante classica
Questo formaggio è diffuso in tutto il Meridione, ma con nomi diversi. Esiste la variante Dop del Siano che è quella più diffuso in Puglia e Calabria, ma anche Molise e Basilicata. C’è poi anche il Caciocavallo Podolico del Gargano, fatto con latte vaccino di razza podolica ed è un prodotto Slow Food. Subisce un procedimento particolare ovvero l’affinamento in grotta. Infine c’è una variante più neutra, ovvero il Caciocavallo Ragusano.
Per fare il caciocavallo impiccato può essere usato qualsiasi tipo di caciocavallo, anche se l’ideale è quello dell’Irpinia poiché in quella zona le vacche mangiano il trifoglio incarnato. Inoltre per fare la versione impiccata serve un formaggio giovane, non troppo stagionato perché con la cottura alla brace poi diventa troppo salato o addirittura immangiabile.
Storia del caciocavallo impiccato
La storia di questo prodotto da pornfood moderna è molto antica. La tecnica dell’impiccagione del formaggio risale all’epoca della transumanza e fu scoperta per caso dai pastori della Basilicata e della Campania. Solo a partire da tempi moderni, ovvero dal 2000, questo segreto di tradizione pastorale è stato divulgato e il mondo ne è venuto a conoscenza. Da allora è diventato il protagonista indiscusso delle sagre dell’Italia Meridionale.
Il formaggio deve essere giovane e deve essere messo a circa 10 centimetri dalla brace e non deve mai toccare la griglia. Appena si scioglie viene spalmato su una fetta di pane cafone e viene mangiato bollente insieme ad un bel bicchiere di vino rosso avellinese.