All’interno dei confini partenopei, il pane cafone ha una storia precisa alle spalle Ecco perché si chiama così.
In una specifica zona d’Italia è molto diffuso il cosiddetto pane ʻcafone o dei Camandoliʼ. Si tratta di un alimento che ha origini piuttosto lontane.
Il pane e le tipologie italiane
Quando si pensa a un alimento diffuso in tutto il mondo, e, per forza di cose, assolutamente popolare, altri non può essere che proprio il pane. In effetti, quest’ultimo è un elemento basico della nostra alimentazione e una ricca fonte di carboidrati.
La funzione principale, in particolare, è proprio quella di farci recuperare la giusta energia, a pari merito, sia dei muscoli che per il cervello. Infatti, è qualcosa di molto utile per chi fa sport o lavori prettamente fisici, ma anche per coloro che sono impiegati in attività intellettuali.
Naturalmente, però, nonostante se ne parli al singolare, in realtà, esistono tanti differenti tipi di pane tra i quali poter scegliere.
Così, per esempio, possiamo trovare quello bianco, di segale, integrale, il multicereali, la ciabatta, e altro ancora.
Poi, ancora, in Italia, ci sono persino delle specialità regionali in tal senso. Per amore di sintesi, quindi, limitiamoci perlomeno a ricordare il sardo Carasau, la panella della Basilicata e la tigella dell’Emilia-Romagna, la pitta calabrese e il pane cafone napoletano.
Quest’ultimo, proprio per il suo nome piuttosto bizzarro, potrebbe suscitare una certa curiosità che, nelle prossime righe, abbiamo deciso di soddisfarvi.
Perché si chiama pane ʻcafoneʼ
All’interno dei confini italici, non solo ci sono numerose buone pietanze, suddivide per regione, bensì anche proprio tanti tipi di pane differenti.
A Napoli, per esempio, c’è il cosiddetto ʻcafoneʼ il cui nome, sulle prime, potrebbe suonare piuttosto bizzarro. Ciò proprio per il fatto che ricorda una persona dall’atteggiamento grossolano e ignorante.
Tuttavia, c’è un motivo particolare per cui questo tipo di pane viene chiamato in questo modo. Secondo gli esperti, quindi, la ragione è che inizialmente si produceva al di fuori della città partenopea, bensì dalla provincia.
I panettieri che facevano tali pagnotte non erano, perciò, di estrazione sociale elevata, anzi, al contrario, erano di origini contadine.
Nella fattispecie, sembra che siano nate, per la precisione, a San Sebastiano al Vesuvio, una località campana che, ancora al giorno d’oggi, è costituita da meno di 10 mila abitanti.
Tuttavia, nemmeno gli storici sanno identificare con esattezza se, invece, questa tipologia di pane abbia avuto, in passato, anche una diffusione nei pressi di Benevento, Avellino oppure di Torre del Greco.
Quello che è certo, però, è che la maturazione avviene su delle tavole di legno, avvolgendo l’impasto in teli di iuta. Inoltre, è importante che le pagnotte di siffatta natura si presentino con delle grandi pezzature, senza nessun taglio sulla superficie.
Un’altra caratteristica della lavorazione è quella della cottura nel forno a legna con una base di pietra refrattaria; una modalità molto simile usata per la tipica pizza napoletana.