Alla pesca di cattura si accosta l’acquacoltura. Quest’ultima, consistente nell’allevamento di specie ittiche di vario tipo, nel tempo ha iniziato a prendere sempre più piede, andando a rispondere alle esigenze della popolazione e arrivando persino a superare la pesca intesa in senso tradizionale.
È stato un rapporto della Fao a evidenziare come l’acquacoltura abbia raggiunto, nel 2022, gli oltre 130 milioni di tonnellate. Numeri che sono destinati ad aumentare con il passare del tempo, visto che si tratta di un metodo di approvvigionamento di prodotti ittici che piace alla gente. Le previsioni per il 2032 è che la produzione possa raggiungere i 205 milioni di tonnellate.
Perchè nasce l’acquacoltura
Il ricorso a questo tipo di produzione di alcune specie ittiche è una risorsa che nasce da diversi fattori: l’aumento del consumo di pesce; i cambiamenti climatici che provocano problemi di sostenibilità, in quanto l’antropizzazione mette in pericolo gli ecosistemi marini; ma anche la pesca intensiva. È così che l’acquacoltura costituisce un’ancora di salvezza in quanto alleva pesci, molluschi, crostacei e piante acquatiche in ambienti protetti e controllati.
I vari tipi di acquacoltura: estensiva, intensiva e semi-intensiva
Viene realizzata in corsi di acqua dolce e in mare e si divide in estensiva, intensiva e semi-intensiva. La prima viene svolta in un ambiente naturale, nel quale l’uomo ha il compito esclusivamente di introdurre esemplari giovani; nel secondo caso, invece, le specie che vengono introdotte vengono seguire direttamente dall’uomo che si preoccupa anche della loro alimentazione; nell’ultimo caso, invece, l’uomo interviene per integrare l’alimentazione naturale. Un ulteriore differenza sta nella specie allevata che differenzia la pescicoltura dalla molluschicoltura, dalla crostaceicoltura e dall’alghicoltura.
I fattori positivi
Nel tempo sono stati rilevati una serie di fattori positivi apportati dall’acquacoltura che intanto non va a turbare gli ambienti marini che, invece, vengono preservati, favorisce la ripopolazione delle varie specie ittiche conservandone la biodiversità e grazie al sistema di controlli e monitoraggio garantisce la sicurezza alimentare.
Se da una parte l’acquacoltura rappresenta una soluzione alla pesca eccessiva, dall’altra, in particolare nel Mediterraneo, vengono introdotte specie che sono carnivore, come il salmone, il branzino e l’orata che rischiamo di mettere in pericolo le risorse selvatiche.
Gli effetti negativi
Sono anche altri i pericoli di questi allevamenti, esaminati e studiati dagli esperti sono stati riportati in un articolo pubblicato su ScienceDirect. Nascono dubbi sulle conseguenze dovute alla presenza delle gabbie che oltre a rischi ambientali, possono favorire la trasmissione di malattie con conseguente rischio di rilasciare in acqua prodotti farmaceutici, quindi sostanze chimiche. Anche le reti di nylon creano perplessità tra gli esperti, visto che riducono lo scambio di acqua, abbassano il livello di ossigeno e possono essere serbatoi di agenti patogeni. A questo si somma l’utilizzo di ingenti quantitativi di gasolio per la gestione degli allevamenti.